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Un mattino di luglio Frida Kahlo si sveglia nel suo letto in casa dei genitori. Ha subito da poco la trentaduesima operazione, l'amputazione della gamba destra. Prova ad alzarsi, ma non ci riesce. Il suo corpo è segnato ovunque da cicatrici: sulle gambe, sulle braccia, sulla pancia, sulla schiena. Aveva sei anni quando un mattino si era svegliata con la febbre alta. Poi era arrivato il dolore alla gamba, come se un grosso animale l'avesse morsa e non volesse riaprire le mascelle. I medici dissero che era poliomielite. Frida restò zoppa. Fino a quando, il 17 settembre del 1925, diciottenne, un incidente d'autobus completò l'opera di distruzione del suo corpo. Costretta da allora su un letto a baldacchino tra dolori costanti, cominciò a popolare il suo mondo di fantasmi, a dipingere l'infermità e l'isolamento. La scrittrice Slavenka Drakulic ha saputo raccontare la tormentata esistenza di Frida Kahlo a partire dalla fine, ripercorrendo in un flusso di pensieri l'infanzia, la gioventù, gli anni del matrimonio, l'amore ossessivo per il pittore Diego Rivera, i tradimenti, la continua lotta con il proprio corpo, la forza onirica e visionaria della sua arte, il fuoco, cupo e luminosissimo, in cui visse e si spense una pittrice straordinaria.